L’ex presidente di Facebook si pente: «I social sfruttano le debolezze psicologiche delle persone»

ap_17127236592719-e1510328734945-kudb-u433901007542388ipc-1224x916corriere-web-sezioni-593x443Sean Parker, l’hacker che ha fondato Napster e ha lavorato con Zuckerberg, fa mea culpa: «Solo dio sa cosa fanno queste piattaforme al cervello dei nostri bambini» di Luca Angelini
«Quando un network cresce fino a un miliardo o due miliardi di persone, cambia letteralmente la tua relazione con la società, con gli altri. Probabilmente interferisce in modo misterioso con la produttività in strani modi. Solo dio sa cosa stia facendo ai cervelli dei nostri bambini». Non, non è lo sfogo di un apocalittico tecnofobico. Sono parole di Sean Parker, l’hacker che a vent’anni fondò Napster e a 25 fu il primo presidente di Facebook (prima di esserne cacciato per una vicenda di cocaina). Quello che ha messo insieme l’idea di Mark Zuckerberg e i soldi di Peter Thiel (e che nel film The Social Network è interpretato da Justin Timberlake). Uno che, come ricorda in Move fast and break things Jonathan Taplin (che gli imputa non senza qualche ragione la distruzione dell’industria musicale nella quale lo stesso Taplin lavorava) pensa che sia «la tecnologia e non l’economia o il governo la vera forza trainante dietro i grandi cambiamenti sociali».
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I social sfruttano le vulnerabilità psicologiche
Per questo fa una certa impressione leggere, come riporta su Axios Mike Allen, che l’ha intervistato a Filadelfia (qui il video), che il «nuovo» Parker, quello che presiede il Parker Institute for Cancer Immunotherapy, si proclama «una specie di obiettore di coscienza» in fatto di social media. Parker dice che i social, e Facebook prima di tutti, sono partiti da una domanda: «Come faccio a consumare la maggior parte possibile del vostro tempo e della vostra attenzione cosciente? E hanno perciò «sfruttato una vulnerabilità nella psicologia umana», ossia il bisogno di riconoscimento sociale («proprio la cosa che si sarebbe inventato un hacker come me»), e che lui stesso, Mark Zuckerberg e Kevin Systrom di Instagram «ne eravamo del tutto coscienti, ma l’abbiamo fatto comunque». Come? «Dandovi ogni tanto un po’ di dopamina, perché qualcuno mette “mi piace” o commenta una foto, un post o qualcos’altro». Quanto sia sincera l’autocritica di Parker (che è ancora nel board di Spotify) è da vedere. Ma sembra conscio di segnare un cambio di rotta, tanto che, tra il serio e il faceto, dice a Allen: «Credo che Mark Zuckerberg adesso bloccherà il mio account».
12 novembre 2017 (modifica il 13 novembre 2017 | 18:28)
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